lunedì 24 febbraio 2014

lunedì

Rientro faticosamente a casa dopo aver passato il fine settimana a chiacchierare, vedere partite e festival di Sanremo, lavare piatti, rilavare piatti, cercare di sentirsi utili.
Rientro in casa ed è tardi, mi accoglie il mio profumo di colonia e polvere di caffè, qualche volta di panni stesi, metto sul fuoco il bollitore, mangio un biscotto. Riapro il lavoro quasi finito, spulcio Repubblica, ascolto due o tre canzoni, e mi ripiego sulle mie virgole e i miei punti.

Ieri ho incontrato al supermercato un vecchio amico che non lavora, ed è contento. Parte, poi torna, lavora tre mesi poi smette, e sembra contento. Non so se c'è o ci fa, ma mi sembra sincero. Mi chiedo come si fa, io se non faccio tre lavori insieme mi sento persa e inutile, e poi mi coglie il pianto. Mi coglie di sorpresa senza preavviso, perché ho ritrovato una fotografia o perché ho rivisto il finale di un film d'amore. Mi coglie quando sono inattiva e mi fa impazzire
di rabbia, e allora inattiva non ci resto, a costo di svenire per strada, perché sono andata di corsa a lavorare senza aver fatto colazione.

Quindi ecco la mia medicina, correre, fare, poi fermarmi per tirare il fiato, poi ricominciare.
Pazienza per tutto quello che non c'è.
Pazienza per le storie che non posso raccontare o per le lampade che devo scegliere da sola. Me lo ricordo com'era fare le cose con la voglia di condividerle, e semplicemente non lo voglio fare più. Non mi voglio ritrovare con altre foto che mi facciano imboscate o con altra musica che mi paralizzi.

La fortezza rialza il ponte levatoio e chiude il portone.