giovedì 27 settembre 2012

howl

Un grido.
La notte è insolitamente calda e la luna a breve sarà piena. Tutte le finestre sono aperte e di colpo si sente un grido, forte. Una donna urla forte nell'appartamento del piano di sopra, poi si sente qualcuno che corre per le scale e il portone che sbatte. Tutto il palazzo è affacciato alle finestre, molti sono in pigiama, e due poliziotti sono usciti dalla caserma. Guardano verso l'alto. La donna si aggrappa alla maglia di uno dei due e dice "non ho fatto niente". Un uomo, anche lui affacciato, dice "è vero non è successo nulla. Se volete potete salire." ma i poliziotti, invece, fanno scendere lui. Uno dei due accompagna la donna dentro la caserma mentre l'altro aspetta l'uomo sul portone.   
Il secondo atto avviene dentro la caserma, lontano dagli occhi indiscreti dei vicini, anche se non dalle orecchie. Si continua a sentire piangere, si continuano a sentire frammenti di parole di conforto e di discolpa, smorzate dall'aria umida.
Non mi era mai capitato, in questo quartiere sonnacchioso popolato da anziani e badanti, di assistere a una vicenda simile.
Naturalmente non si è trattato di cosa grave, la strada adesso è di nuovo in silenzio e le persiane sono di nuovo tutte chiuse. Ma mi capita di chiedermi quante grida strozzate ci siano dietro tutte queste finestre, quanta stanchezza, quanta tristezza, quanti dispiaceri.
Anche io a volte vorrei mettermi alla finestra e urlare, senza che nessuno mi venga a consolare, senza che nessuno mi fermi. Prendermi la soddisfazione, una buona volta, di tirar fuori dai polmoni tutta questa aria, tutta questa incompiutezza, tutte queste telefonate-messaggi-mail, tutte queste uscite la sera dopo giornate infinite, tutta la stanchezza, tutte le tazze di tè.

Ma io non lo faccio mai. Anzi, sono proprio famosa per essere una che non lo fa mai.
Quello che faccio è mettermi alla finestra, farmi sfiorare dall'aria della notte e guardare in su questa luna, incompiuta, anche lei. 



mercoledì 12 settembre 2012

cristallo

Hanno annunciato l'arrivo della pioggia per domani.
Guardo fuori dalla finestra e vedo solo lampioni fiochi e sento solo il bisbigliare come di zanzare delle macchine in lontananza.
La città dorme, più o meno. 
Io ritrovo il piacere di leggere a notte fonda: in un periodo tristemente un po' vuoto del lavoro di traduzione mi sfogo con autori di cui non so quasi nulla, (consigliati da lalù in riva al mare) in attesa che mi arrivi un pacchetto dalla minimum fax contenente questo (e proprio non vedo l'ora).
Il lavoro più difficile da fare, in questi giorni, è quello di non abbandonarsi alla tristezza, che tende agguati da ogni parte, che è insidiosa come l'acqua che si infiltra.
Mi sento un po' in dovere di essere felice, mi sento di dover essere saggia, ragionevole, mi sento di non avere nessun diritto a indulgere alla malinconia, perché il mondo è già abbastanza infelice così com'è per accogliere anche la malinconia di una che sta bene.
Però -tocca confessarlo- mi sento anche un po' abbandonata. Da qualcuno che pensavo vicino, dai riflessi azzurri dell'isola, dall'abbronzatura che (come sempre in questo periodo di mezzo fra estate e autunno) è proprio diventata un disastro. 
Lo confesso silenziosamente dall'interno di questa notte, una notte senza sonno da affrontare con il telefono in mano a decidere se mandare un messaggio o no (non penso che lo farò, ma che voglia), con  tante parole che mi risuonano dentro fra cui la lettura di un brano della Montessori sentita oggi su Radio3 (che meraviglia), il consiglio di chi dice "meglio di così non puoi diventare, nel bene e nel male" e mia madre che mi dice "dai fammi una domanda di cinema al giorno, ma difficile, così prevengo l'alzheimer!" e lo dice ridendo, e snocciolando a memoria su due piedi tutta la filmografia di Peter O'Toole. Non credo che l'alzheimer sarà un suo problema.

Quanto potere do alle parole, ogni giorno, quanto influenzano ogni istante della mia vita.
Ragionare con la pancia, questo dovrei fare, non pensare alle parole che non ho detto o che non dirò, non pensare alle parole che mi hanno detto senza dare alcun peso alle parole, non pensare che sarà sempre tutto così, sospeso in questo brusio continuo, fatto di quotidiano e di straordinario, o di straordinario quotidiano. A proposito di giochi di parole.
Sospendo temporaneamente il giudizio su questa mia inclinazione che temo di non poter più correggere.
È raro che invecchiando si correggano gli errori. Casomai si notano di più, ma di solito non c'è più nulla da farci.

[Invece, a proposito di parole gentili, leggo (colpevolmente) solo adesso che il mio blog è stato  segnalato da rose. Grazie, e grazie anche per tutto il resto del tuo blog, che è sempre pieno di cose belle e interessanti.]