mercoledì 26 dicembre 2012

Happy New Year

Così ecco che è passato anche questo Natale: regali, cene, abbracci, bambini da tutte le parti, clienti da tutte le parti, composizioni, bruciature da colla a caldo, stanchezza, piumone. 
Libri. Tanti.
Ho ricevuto un kindle e un bellissimo catalogo di foto inedite dei Beatles e poi il numero del Lapham's Quarterly sull'eros e le foto della Roma della Dolce Vita. E poi non ci sbagliamo: anche la borsa dell'acqua calda elettrica, e le calze di lana. Perché non sono così cool: ho sempre freddo e non scrivo lettere (né blog) da un secolo e sabato scorso mi sono quasi ammazzata cadendo dalle scale perché mi si è impigliato un tacco nel gradino sbocconcellato. Un parrucchiere in vena di scherzi ha deciso che per la sera della festa mi doveva fare i riccioli e, siccome ero troppo debole per oppormi, per due giorni sono andata in giro con l'aspetto di un cherubino di Botticelli. Poi, quando mi ero abituata ai capelli un po' mossi, il nebbione è calato sulla città, sui miei capelli e sui miei polmoni, facendomi tornare liscia e consegnandomi uno dei raffreddori più antipatici che mi ricordi.
A parte tutto questo è stato un Natale bello, caldo, affettuoso. 
Come avrei fatto a superare tutta questa tristezza, questi amici che sono lontani o che non ci sono e basta, e tutta questa nebbia, senza il calore di tutti quelli che mi hanno abbracciata due volte al giorno, proprio non lo so. 

Grazie a tutti.
Buon 2013.

lunedì 29 ottobre 2012

Rosso

Fa freddino e io un po' lo aspettavo.

Oggi è il mio giorno libero e lo divido equamente fra lavoro e pulizie, lavatrici e dizionari, ricette rocambolesche con ingredienti sconosciuti e libri da sfogliare. E, naturalmente, tè caldo e scialle di lana.
Ho spedito il regalo di compleanno alla mia nipotina, che compie due anni. E ho quasi finito la playlist per l'altr* nipotin* che ancora non si sa se è un bambino o una bambina e ancora non si sa come si chiamerà, ma siamo già a un punto in cui "sente tutto" e quindi sarà bene che ascolti un po' di bella musica, insieme al suo babbo e alla sua mamma.

L'autunno è la mia stagione preferita, i colori sono sfavillanti e la luce è delicata, e li sfiora appena. Si scoprono immagini inaspettate e bellissime, come l'albero rosso sul tetto vicino al lavoro. L'ho fotografato, ma non rende l'idea di quanto mi sono emozionata quando l'ho visto.

Questo autunno che inizia tardi lo voglio dedicare alle emozioni inaspettate, alle foto mal riuscite, alle (famose) parole non dette e a quelle dette con incoscienza, e a tutti i pensieri luminosi che riesco a mettere insieme.

E poi penserò a un viaggio.

mercoledì 10 ottobre 2012

weird

Traduco.
Ci avevo sperato tanto e finalmente la ruota ha girato e, come sempre quando ci spero tanto, arrivano dieci cose insieme. Naturalmente preferisco così.
La traduzione è interessante, le notti si riducono, aumenta il consumo di verdure, inizio a fare minestre e devo fatalmente dire addio alle mangiate di pesche pomeridiane.
Pazienza.
Passeremo alla zucca.

Nello splendore delle pause pranzo di questo Ottobre appiccicoso, mentre corro instancabilmente da un impegno all'altro, mi scopro felice per cose che rendono felice solo me, che gli altri non capirebbero, e mi chiedo se sono io a essere strana.

Ma c'è poco tempo.
Nel frattempo la luna si muove, io mi muovo, e mi manca di nuovo il respiro.

giovedì 27 settembre 2012

howl

Un grido.
La notte è insolitamente calda e la luna a breve sarà piena. Tutte le finestre sono aperte e di colpo si sente un grido, forte. Una donna urla forte nell'appartamento del piano di sopra, poi si sente qualcuno che corre per le scale e il portone che sbatte. Tutto il palazzo è affacciato alle finestre, molti sono in pigiama, e due poliziotti sono usciti dalla caserma. Guardano verso l'alto. La donna si aggrappa alla maglia di uno dei due e dice "non ho fatto niente". Un uomo, anche lui affacciato, dice "è vero non è successo nulla. Se volete potete salire." ma i poliziotti, invece, fanno scendere lui. Uno dei due accompagna la donna dentro la caserma mentre l'altro aspetta l'uomo sul portone.   
Il secondo atto avviene dentro la caserma, lontano dagli occhi indiscreti dei vicini, anche se non dalle orecchie. Si continua a sentire piangere, si continuano a sentire frammenti di parole di conforto e di discolpa, smorzate dall'aria umida.
Non mi era mai capitato, in questo quartiere sonnacchioso popolato da anziani e badanti, di assistere a una vicenda simile.
Naturalmente non si è trattato di cosa grave, la strada adesso è di nuovo in silenzio e le persiane sono di nuovo tutte chiuse. Ma mi capita di chiedermi quante grida strozzate ci siano dietro tutte queste finestre, quanta stanchezza, quanta tristezza, quanti dispiaceri.
Anche io a volte vorrei mettermi alla finestra e urlare, senza che nessuno mi venga a consolare, senza che nessuno mi fermi. Prendermi la soddisfazione, una buona volta, di tirar fuori dai polmoni tutta questa aria, tutta questa incompiutezza, tutte queste telefonate-messaggi-mail, tutte queste uscite la sera dopo giornate infinite, tutta la stanchezza, tutte le tazze di tè.

Ma io non lo faccio mai. Anzi, sono proprio famosa per essere una che non lo fa mai.
Quello che faccio è mettermi alla finestra, farmi sfiorare dall'aria della notte e guardare in su questa luna, incompiuta, anche lei. 



mercoledì 12 settembre 2012

cristallo

Hanno annunciato l'arrivo della pioggia per domani.
Guardo fuori dalla finestra e vedo solo lampioni fiochi e sento solo il bisbigliare come di zanzare delle macchine in lontananza.
La città dorme, più o meno. 
Io ritrovo il piacere di leggere a notte fonda: in un periodo tristemente un po' vuoto del lavoro di traduzione mi sfogo con autori di cui non so quasi nulla, (consigliati da lalù in riva al mare) in attesa che mi arrivi un pacchetto dalla minimum fax contenente questo (e proprio non vedo l'ora).
Il lavoro più difficile da fare, in questi giorni, è quello di non abbandonarsi alla tristezza, che tende agguati da ogni parte, che è insidiosa come l'acqua che si infiltra.
Mi sento un po' in dovere di essere felice, mi sento di dover essere saggia, ragionevole, mi sento di non avere nessun diritto a indulgere alla malinconia, perché il mondo è già abbastanza infelice così com'è per accogliere anche la malinconia di una che sta bene.
Però -tocca confessarlo- mi sento anche un po' abbandonata. Da qualcuno che pensavo vicino, dai riflessi azzurri dell'isola, dall'abbronzatura che (come sempre in questo periodo di mezzo fra estate e autunno) è proprio diventata un disastro. 
Lo confesso silenziosamente dall'interno di questa notte, una notte senza sonno da affrontare con il telefono in mano a decidere se mandare un messaggio o no (non penso che lo farò, ma che voglia), con  tante parole che mi risuonano dentro fra cui la lettura di un brano della Montessori sentita oggi su Radio3 (che meraviglia), il consiglio di chi dice "meglio di così non puoi diventare, nel bene e nel male" e mia madre che mi dice "dai fammi una domanda di cinema al giorno, ma difficile, così prevengo l'alzheimer!" e lo dice ridendo, e snocciolando a memoria su due piedi tutta la filmografia di Peter O'Toole. Non credo che l'alzheimer sarà un suo problema.

Quanto potere do alle parole, ogni giorno, quanto influenzano ogni istante della mia vita.
Ragionare con la pancia, questo dovrei fare, non pensare alle parole che non ho detto o che non dirò, non pensare alle parole che mi hanno detto senza dare alcun peso alle parole, non pensare che sarà sempre tutto così, sospeso in questo brusio continuo, fatto di quotidiano e di straordinario, o di straordinario quotidiano. A proposito di giochi di parole.
Sospendo temporaneamente il giudizio su questa mia inclinazione che temo di non poter più correggere.
È raro che invecchiando si correggano gli errori. Casomai si notano di più, ma di solito non c'è più nulla da farci.

[Invece, a proposito di parole gentili, leggo (colpevolmente) solo adesso che il mio blog è stato  segnalato da rose. Grazie, e grazie anche per tutto il resto del tuo blog, che è sempre pieno di cose belle e interessanti.]




mercoledì 15 agosto 2012

Notte di Ferragosto

L'isola vive, ci batte il sole a picco, l'acqua ha il colore del vetro di una bottiglia.
I gattini si rotolano uno sull'altro mentre ceniamo e le barche dondolano la loro danza notturna.
La pelle cerca ossigeno dopo l'arsura della giornata, il naso pizzica, un ramo di buganville, scura nella notte stellata, taglia il cielo.
Si sentono voci giù in strada, e dialetti, si beve acqua a più non posso, si cerca di dormire nonostante le grida dei bambini che ballano in piazza.

domenica 5 agosto 2012

Sono passati molti giorni prima che riuscissi a rimettere insieme due pensieri da scrivere dopo gli avvenimenti tragici del mese di giugno. Una notte ho scritto una lettera alla mia amica M., così sconclusionata che non riesco a rileggerla, e mi sono resa conto solo lì che questa cosa non la sapevo affrontare.
E' proprio come dicono: gli esseri umani sono preparati ad affrontare la morte di qualcuno che è anziano, o di qualcuno che è malato, ma la morte improvvisa, inspiegabile, in giovane età e per motivi che restano e resteranno ignoti, non fa parte delle capacità di cui siamo dotati. Oppure di cui sono dotata io. 
A dispetto del mio ateismo, della mia mancanza di fede, della mia ritrosia nei confronti del pensiero di un "altrove" o di un "dopo" ho sempre pensato che la vita fosse un dono e allo stesso tempo una responsabilità. Ho riletto il dialogo di Plotino e Porfirio [...non volere esser cagione di questo gran dolore agli amici tuoi buoni, che ti amano con tutta l'anima; a me, che non ho persona più cara, né compagnia più dolce. Vogli piuttosto aiutarci a sofferir la vita, che cosi, senza altro pensiero di noi, metterci in abbandono. Viviamo, Porfirio mio, e confortiamoci insieme: non ricusiamo di portare quella parte che il destino ci ha stabilita, dei mali della nostra specie. Si bene attendiamo a tenerci compagnia l'un l'altro; e andiamoci incoraggiando, e dando mano e soccorso scambievolmente; per compiere nel miglior modo questa fatica della vita. La quale senza alcun fallo sarà breve. E quando la morte verrà, allora non ci dorremo: e anche in quell'ultimo tempo gli amici e i compagni ci conforteranno: e ci rallegrerà il pensiero che, poi che saremo spenti, essi molte volte ci ricorderanno, e ci ameranno ancora.] e mi sono sentita consolata da quel ragionamento cristallino, che tuttavia si conclude semplicemente con un'affermazione che sta al di fuori della ragione e cioè che non si può privare chi ci ama del conforto della nostra presenza, della consolazione che può derivare dall'essere sulla stessa barca amandoci e consolandoci delle fatiche che ci vengono incontro. Eppure c'è un territorio dove non so andare: quello di un dolore così grande che fa dimenticare tutto il resto e tutti gli altri.

Non posso parlare del mio dolore, perché è solo egoismo a questo punto. E poi è stato così forte che non ho potuto esprimerlo, né lo so esprimere ora, né lo voglio, perché ho paura che se viene fuori non riuscirò più bene a camminare dritta. So, però, che il mio istinto "naturale" mi ha spinta verso la vita, senza che quasi me ne rendessi conto, nel bel mezzo di una traduzione noiosa  mi sono infilata in cinque minuti sul sito di ryanair e ho comprato un volo per andare a vedere le mie nipoti.
Che sono bellissime, piene di gioia, di risatine e curiosità verso il mondo. Che si fanno abbracciare e stropicciare da una zia che vedono ogni sei mesi, perché probabilmente ci piace il nostro odore. 
Quando la più grande mi ha portato il suo libro e mi si è seduta in braccio come per dire "ora leggi", mi sono sentita così emozionata che avrei voluto chiamare tutti per mostrare cosa stava succedendo.
In realtà non stava succedendo una cosa straordinaria, era solo fiducia, e mi sono trovata a pensare che anche solo per vivere un istante del genere, anche se dura solo un secondo, vale la pena di restare in giro e tollerare le umane sofferenze. 
Passerà molto tempo prima che riesca a farmi una ragione di quello che è accaduto, forse una ragione non me la farò mai e dovrò vivere con questo enorme "perché?" depositato in fondo al cuore. Nel frattempo, ogni giorno dedicherò un pensiero a tutto questo, cercando di non essere troppo arrabbiata e cercando di non sentirmi in colpa, che è la trappola peggiore, la prova più difficile da affrontare.

mercoledì 27 giugno 2012

sabato 16 giugno 2012

Gracias a la vida...


...perché le cose arrivano e poi se ne vanno, perché la vita è veloce poi lenta e poi veloce di nuovo; perché non cerco approvazione né disapprovazione; perché ci ho messo vent'anni ma alla fine ho capito che so come sono e so che non perdonarmi fa pare del gioco, perché non posso fare a meno di certi profumi, perché il gelsomino che fiorisce d'estate mi farà sempre lo stesso effetto fino all'ultima estate della mia vita; perché credo nelle persone, ci credo dal primo momento in cui le incontro e smetto solo nel momento in cui non ci credo più, ma dopo quel momento non torno più indietro; perché credo al mio istinto, perché l'istinto non mi ha mai tradita, la ragione forse sì, ma credo anche a lei, perché sono sicura che prima o poi le cose funzioneranno, oppure mi farò bastare quelle che funzionano; perché posso camminare con un'amica dalle nove del mattino alle due di notte in una città straniera e non sentire la stanchezza, mai, o stare tre ore e mezza sotto un temporale ed essere felice; perché i soldi non bastano mai ma con quelli che ho so fare cose bellissime; perché la mia casa mi somiglia: è un caos proprio come me; perché probabilmente non avrò figli, ma avrò sempre le mie traduzioni; perché qualcuno mi vuole bene e avere qualcuno che ti vuole bene è una grossa responsabilità, e perché se c'è una cosa che so fare è assumermi interamente le mie responsabilità; per tutto quello che è successo, per tutta questa gente che si muove in giro come i saltimbanchi di un circo impazzito, e per tutta la grazia che vedo al di là del caos; per tutte queste ragioni, per tutta la mia tristezza, per la capacità di saper ridere di me, sempre. 

Sempre.

mercoledì 2 maggio 2012

(there's no) leaving (New York)

Rimando rimando, perché sinceramente non so come esprimere quello che provo alle 00.42 di questa notte.
Parto.
E non è un viaggio qualunque. Torno a New York dopo quattro anni, dopo la gioia, il dolore, il master, il primo volume pubblicato, gli articoli, la nascita delle mie nipoti, tutto mischiato alla complessità del lavoro quotidiano, e alla complessità delle esperienze che ho vissuto.
Non so, è come fare un bilancio, un bilancio che ho cercato, in cui ho creduto sempre, attimo per attimo, nelle ore passate a leggere e a studiare, nelle ore passate a cercare la mia consapevolezza, nelle ore passate a non pensare e, infine, nelle meditazioni a testa in giù.
Il tempo è passato sordo finché, in un momento preciso della scorsa estate, ho detto alla mia amica:
"M. portami a New York, ne ho bisogno".
M. era lì per dire di sì.

New York è un luogo stregato. L'emozione e la consapevolezza di trovarla sempre lì, eppure di trovarla sicuramente diversa me la fa vedere come uno specchio di questi anni.
Anche io sono sempre qui. Sono la stessa biondina appassionata e zitta zitta, eppure inevitabilmente sono un'altra persona.
Ho scavato così a fondo dentro di me che adesso so quello che devo tenere a galla e quello che invece devo accantonare.
Ho imparato che a volte mi posso anche perdonare per i momenti in cui non vado bene.
Ho imparato che per alcune persone rappresento una certezza.
Ho imparato che non mi devo vergognare di come sono, anche quando non mi piaccio.
Ho imparato che non sempre riesco a seguire i miei saggi consigli.

Ho imparato anche tante altre cose che non posso raccontare, ma resta sempre quel grammo di mistero, di imprevisto, quel pezzetto di me che e pronto a stupirmi.

Parto, ci credo, resisto.



lunedì 26 marzo 2012

happy

E' nata una bambina, ieri.
Si chiama Clementina, e a me naturalmente viene subito in mente questo.
Ognuno ha la sua mitologia casalinga: nella mia, appena si nomina qualcuno che si chiama Clementina, c'è subito qualcun altro che chiosa "certo che è un bel nome, Clementina".

Mentre attacco al frigo un'altra foto di Celeste e penso che non è più solo un batuffolo morbido che fa le facce, ma una bambina seduta in poltrona con il suo libro e con le sue opinioni, arriva sua sorella e io mi chiedo come si fa a essere così tanto felici senza averla ancora mai vista.

Benvenuta Clementina.

sabato 10 marzo 2012

pieno e vuoto

Ieri ho iniziato le pulizie di primavera.
La polvere saltava fuori da tutte le parti, sembrava fosse rimasta addormentata ad aspettare l'apertura delle finestre,  l'arrivo del primo caldo. E poi i vestiti da piegare, i vetri da lavare, e buste piene di roba a cui trovare un posto.
E' una metafora di tutto il resto.
Ho sempre una busta piena di qualcosa che non c'entra niente e che non so dove infilare. Tipo le creme solari in inverno. O gli scaldamuscoli che usi 2 volte all'anno.

Ho sempre qualcosa fuori posto anche dentro.
Dove lo metto tutto quel pathos che ho meticolosamente nascosto e accumulato negli angoli del mio cuore?
Ogni tanto lo vedo, lì da parte, tutto ordinato e preciso. Inutile.
A chi lo racconto che ho preso e mi sono messa in giro per il quartiere a scoprire le case liberty più strambe del mondo, che per qualche ragione sono tutte concentrate in questa zona precisa della città, che per lo più è fatta solo di edifici anni '60 e '70?
Dove la metto tutta la teoria traduttiva che sto studiando, se mi danno da tradurre solo articoli e saggi che non c'entrano niente con tutti i sofismi di cui mi nutro?
A chi lo racconto che mi sento sbocciata (di nuovo, alla mia tenera età) e sola, anche ora che sola non lo sono, mentre prima, quando ero sola veramente, mi sembrava di avere sempre una folla intorno?

Oggi c'è un sole tiepido e ho pranzato all'aperto.
A volte mi sdraio per terra in salotto e guardo il soffitto, per molti minuti.

lunedì 6 febbraio 2012

cristallo

Leggo Murakami, preparo dolcetti vegan, ascolto le First Aid Kit, invado il mondo di kleenex, bevo tè bollente e tisane speziate, e conto, conto, conto, non faccio che contare oggetti: l'inventario quest'anno sembra non finire mai. La notte sogno gli scaffali del negozio invasi di roba a cui mi illudo di dare un ordine.
Alla cena domenicale c'era il brodo, e dopo il brodo c'era 84 Charing Cross Road, e naturalmente abbiamo pianto tutti, così ho aggiunto ai fazzoletti dell'influenza i fazzoletti della commozione.
A letto, con la borsa dell'acqua calda, il plaid sul piumone e il computer sulle ginocchia, mi illudo di ricevere posta che, adesso so per certo, non arriverà che domani.

Per un istante ho desiderato l'influenza dei piccoli, quella di quando non ti alzavi mai dal letto, ed eri esentata da qualsiasi attività che non fosse giacere fra le coperte e leggere, al massimo dormicchiare davanti a un film. Invece domani è già lunedì, e bisogna raccogliere le energie per cominciare la settimana. E anche decidersi a rompere il taboo, forse, e prendere un'aspirina senza aspettare che gli anticorpi facciano tutto il lavoro da soli.

Un abbraccio, un bell'abbraccio mentre mi addormento, questo ci vorrebbe, adesso.

lunedì 30 gennaio 2012

interiors

Fa così freddo che ho tirato fuori da chissà dove una vecchia giacca da sci verde, che mi trasforma in una cosa tonda e morbida e che mi fa lo stesso effetto del piumone la mattina: non vorrei mai uscirne.
Guardo il cielo, così limpido, e penso: "nevicherà".
Penso: "ma sì, copriamola di neve questa città così grigia, questo posto buffo dove mi sento allo stesso tempo una pietra di ogni marciapiede e un'estranea, copriamolo di neve e vediamo quest'anno cosa succede".
L'anno scorso si è paralizzato tutto, e tutto si è coperto di silenzio e di persone che correvano nei posti a piedi.
Forse ci vorrebbe.
Perché adesso che ci penso, le cose stanno correndo e io non le so acchiappare.
Perché per esempio, essere l'altra sera in un posto pienissimo di gente a sentire un concerto meraviglioso, mi ha fatto come rinascere.
Anche essere abbracciata da sconosciuti e guardata con curiosità dopo, non è stato da meno.
Allora cos'é? Ho solo fatto finta che tutto questo non esistesse più?
Ho creduto di poterne fare a meno, mentre tutti facevano le loro corse e io mi accoccolavo sotto il plaid a tradurre e a leggere convinta che quella fosse l'unica cosa capace di portarmi gioia?

Forse.
O forse è un ultimo rigurgito di un mondo che non c'è più, punto e basta.
Non so che pensare e mi sento come in altalena.
Let it snow.

domenica 15 gennaio 2012

fire

Nel 2012 mi sveglio una mattina in una stanza viola, fuori c'è il sole e si sente il rumore del vento fra gli alberi. Passeggio vicino all'acqua, poi respiro forte l'aria fredda di gennaio.
Nel 2012 racconto storie e poi le scrivo, e poi mi rendo conto che le sto raccontando solo a me stessa. Ho visto tante notti e la luna piena, e ho visto una nave enorme accasciata come un animale smarrito di fronte alle coste della mia regione. E improvvisamente il telegiornale è diventato un film, e tutto quello che si raccontava sembrava un film: i poliziotti con in braccio i bambini, le persone avvolte nelle coperte, la pila di salvagenti rossi ammucchiati al porto e il freddo che bucava lo schermo e faceva tremare le ossa anche dal divano.
Nel 2012 ho visto uscire la mia prima opera tradotta, che non è un romanzo, e che non è l'autore dei sogni, ma c'è il mio nome sopra, e fa comunque un certo effetto. E poi ho visto uscire una raccolta di poesie meravigliose: lì il mio nome sopra non c'è, ma è come se ci fosse, e fa da carburante, è come un calore fermo al centro del petto che mi fa sentire viva e capace di gioire di cose che non sa nessuno.
Nel 2012 quello che devo imparare è gioire delle cose che non sa nessuno, delle parole lente e e calme di un pomeriggio immobile, delle stanze viola in cui mi sveglio quando nessuno sa dove sono, delle luci della sera e delle nuvole che corrono veloci, della mia inconfessabile forza e della mia timidezza, sempre protagonista di tutte le giornate.
Ho visto un altro compleanno, una serata in Santa Croce e un fuoco, acceso.