martedì 20 settembre 2011

Cinque minuti di pausa


Il vento e la pioggia provenienti dall’Atlantico hanno dato un incentivo notevole al mio buon umore di questo periodo.
La felicità, questa parola inutile e vuota, per quanto mi riguarda è fatta dei momenti in cui non sono sicura di cosa stia succedendo, ma so di stare in mezzo alle cose. Per esempio oggi leggevo un racconto molto bello seduta su un gradino, in attesa di un appuntamento, e il vento fortissimo e fresco faceva a gara con il sole bollente e sembrava quasi di vederli, confrontarsi e arrotolarsi uno sull’altro senza che uno dei due prevalesse. Sono andata a dare una mano al lavoro nel mio giorno libero, perché sono arrivati due carichi di merce a distanza di due giorni e le mie colleghe stavano annegando negli scatoloni. Poi, a casa, con calma, mi sono tolta di dosso la polvere della giornata, i sandali e ho cucinato con calma una cena buona. Al telefono mio padre sembrava di buon umore, e domani ricomincio a fare yoga.
Questo è il mio stare in mezzo alle cose, per quanto minuscole e insignificanti.
Apprezzare la vita non è facile, è un lavoro a tempo pieno e io non lo so fare sempre, ma è una cosa che mi piace tentare. Il più delle volte fallisco; l’impresa viene complicata da un insieme di fattori: la preoccupazione per il Paese che si sfascia, la stanchezza perenne, le poche ore di sonno, i lavori che si accavallano e il dolore al collo.
Nelle giornate come oggi, in cui riesco a godere di ogni attimo compresi quelli insignificanti, mi perdono per tutte le volte che cedo allo sconforto. 

martedì 13 settembre 2011

rette parallele


Il fatto buffo è che quando – raramente- vado alla mega fiera di prodotti per la casa con una delle mie cape, mi ritrovo a pensare che non è affatto semplice gestire tutto quel carnevale, saper scegliere le cose giuste da comprare (che non sono quelle che piacciono a te ma quelle che potrai vendere), che le capacità per comprare e vendere non sono affatto una cosa scontata, anzi sono sofisticati equilibri da saper mantenere, e vale tanto per noi che ci muoviamo in un negozio relativamente piccino quanto per quelli che hanno le filiali e le succursali e vale a maggior ragione per i rappresentanti, che le cose le devono rendere appetibili per noi venditori, e quindi devono essere scaltri due volte. Insomma mi trovo a pensare che nel suo piccolo e nel suo essere spietato e spesso anche volgare, anche il commercio è un’arte, nel senso che c’è una parte di quel lavoro che sembra meccanico che veramente si basa su una capacità un po’ innata o meglio, un po’ istintiva. L’altro pensiero che faccio è che quella capacità io un pochino ce l’ho, e questa cosa mi fa abbastanza paura. Dove l’ho presa? Come è possibile che viva questi due mondi così separati – uno fatto di letterature, traduzioni, articoli e saggi, mostre, cinema e studio e l’altro in cui (come dice mio padre) faccio la bottegaia? È una cosa un po’ misteriosa.
Certo, se una considerazione la posso fare, è che per stare in un mondo fatto prevalentemente di solitudine e ragionamento come quello della traduzione senza diventare una stramboide una come me ha anche bisogno di avere un bilanciamento. Ci vuole un po’ di palestra umana: sporcarsi un po’ le mani con l’Italia che “produce e lavora” dà un senso di grande concretezza e realtà ed è bene.
Ed è anche bene passeggiare per Milano pensando che bella città che è, anche se va così di corsa, fermarsi in un negozio e innamorarsi del commesso, chiacchierare con la mia capa dividendo la camera dell’albergo come in vacanza con le amiche, leggere un romanzetto sulla metropolitana fino a Rho e poi cenare in un ristorante giapponese buonissimo e tornare in albergo a piedi sbirciando vetrine illuminate e pensando all’estate che lentamente si consuma.
Nel mio cuore io sono una traduttrice e basta, nel mondo reale viaggio su due binari paralleli, e non è poi così sbagliato.

lunedì 5 settembre 2011

moonlight

Ogni anno, quando arriva settembre, scrivo su queste pagine che settembre è il mese più bello del mondo, che la luce di settembre è cristallo e mette a nudo le cose, ma più di tutto mette a nudo me, la mia malinconia e la mia voglia di partire per qualche posto lontano. Ogni anno settembre comincia con il compleanno di mio padre e sono anni, ormai, che gli regalo un animale in miniatura. Un gallo, un porcello, un gatto, un gorilla. Nessuno dei due si ricorda più quando è cominciata questa cosa o perché, ma ancora ci sembra divertente.
Quest'anno il compleanno di mio padre si festeggia in ritardo, perché i miei sono partiti per un viaggio, per festeggiare. Ma settembre è arrivato di nuovo ed è di nuovo meraviglioso, con la sua luce piena di verità e la sua malinconia.
Molti anni fa, così tanti che sembra un'altra vita, proprio in questo periodo presi un treno. Non avevo valigia, solo una giacca di pelle verde, una borsa con dentro uno spazzolino da denti e un pigiama, e una bottiglia di vino. Andavo in cerca dell'amore, sapevo dove trovarlo, in un viaggio che durava solo due giorni. E oltre all'amore trovai molte altre cose.
In questo settembre caldissimo mi è capitato di sognare quel viaggio, la notte stellata in una città del sud,  una corsa in macchina, una ragazzina con le palpitazioni. Il ricordo è tornato a galla così, affiorato da chissà dove e chissà come mai, dopo tanto tempo che non ci pensavo più.
Questa sera ho ricevuto tante foto della mia nipote, che adesso si solleva aggrappandosi al divano e ha tre denti sopra e due sotto. Sorride tantissimo ed è bellissima.
L'estate finisce, io ascolto Paolo Conte e fra un lavoro e l'altro giocherello con la macchina fotografica nuova. La gatta strilla per la nostalgia.
Il prossimo viaggio con le palpitazioni, lo voglio fare verso nord.