giovedì 23 settembre 2010

cristallo


Non so dire cosa sia successo ma oggi tutto sembra fragile e trasparente.

Il caffè, i miei post it, i fiori sulla tavola. Ascoltare gli strokes di prima mattina, un film di Fellini prima di dormire. E’ tutto così familiare e tutto estraneo.

Vivere con la sensazione costante che qualcosa stia per accadere e notare le piccole differenze giorno per giorno, eppure fare in modo che tutto sia silente, che le giornate restino immutate.

Mi ricordo le cose, quelle piccole e quelle grandi, ma solo io le ricordo. Come il finale di quella poesia recitato una sera di giugno. Proprio in quella poesia mi sono imbattuta a Venezia, per caso, (perché il caso è un comico eccezionale) e a momenti cado per terra. Guardo le persone negli occhi nella speranza che riconoscano il mio sguardo, ma non succede mai e penso che sia perché lo sguardo non è più, non sarà più lo stesso.

venerdì 17 settembre 2010

nota a margine


tanto per aggiungere anche la mia sul film della Coppola, mi ha lasciato amareggiata vedere una platea intera ridere e prendersi gioco di un povero diavolo che pasticcia un po' a fare un piatto di spaghetti, e restare indifferente di fronte allo spettacolo di miseria che sono i dieci minuti di film ambientati in Italia.

Certo, però, noi italiani gli spaghetti li sappiamo fare.

Però il film mi è piaciuto. Forse è un po' più esile di quello che speravo, ma l'aspettativa era alta e nell'insieme non sono delusa.

giovedì 9 settembre 2010

riletture

Primo giorno con le scarpe chiuse, quest'anno molto presto.
Ero uscita fiduciosa scalpitando nei miei sandali questa mattina, poi invece sono tornata indietro a mettere le scarpe da ginnastica.
Settembre: l'unico periodo dell'anno in cui metto le scarpe da ginnastica; gli arrivi della merce natalizia; la fiera; eccetera eccetera.
Settembre, i nuovi inizi.
Appendere un quadro, togliere la locandina del cinema all'aperto dal frigo, sentire il bisogno di essere abbracciata, con l'arrivo del primo freddo.
In questi giorni di nuovi inizi sento la necessità di rileggere cose che ho già letto, come se mi servisse tornare in un territorio dove ho già camminato, per rivedere com'è adesso che io sono completamente diversa. Cose brevi. Alcuni pezzetti di saggi, qualche racconto di Flannery O'Connor, il finale di un romanzo di Barth, e poi Pascale.

E' capitato che mentre ero al mare ho trovato sul comodino una raccolta di racconti di Pascale che era stata dimenticata lì un po' di estati prima dalla mia amica. Lì per lì non ci ho badato. Poi, però, c'è stata una notte in cui non riuscivo a chiudere occhio perché combattevo con la paura che ci fosse un topo sotto il letto. Io non sono una tanto paurosa, anzi quasi per nulla, ma i topi mi terrorizzano. Era tardi e non potevo svegliare nessuno e ad alzarmi non ci pensavo nemmeno perché temevo che mi sarei potuta trovare faccia a faccia col mio nemico. Quindi mi sono messa a (ri)leggere.
Sarà stato tutto quel silenzio e quella luce bassa, ma la tensione per la paura si è allentata e mi sono trovata avvolta da una specie di vicinanza, a certe parole e a certe sospensioni.
Sono tornata su una strada già percorsa e ci ho trovato qualcosa di completamente nuovo. E' stato emozionante.

La mattina dopo ho raccontato la faccenda alla mia amica e lei ha detto che trova che ci sia una specie di corrispondenza fra la mia indole e il modo in cui scrive Pascale.
Mi sono sentita assai lusingata.

Poi, comunque, il topo c'era davvero. Ma forse dovrei essergli riconoscente.

mercoledì 1 settembre 2010

emozioni di ritorno

È stata una lunga estate, piena di riflessioni e di letture.

Ho passato giorni meravigliosi in un posto che mi è caro e poi ho passeggiato in una Venezia silenziosa scoprendo parti di me inedite e, credo, molto importanti. Adesso sono a casa, a casa mia (posso dire che ancora faccio fatica a pronunciare queste due parole insieme senza sentirmi un po’ sottosopra e anche un po’ a disagio?), progetto di appendere un paio di poster, sono ricoperta di scartoffie. Va bene così.

Va molto bene.

È un clima molto simile a quello della scuola che ricomincia: la città che torna ad essere freddina, un maglioncino buttato addosso la mattina mentre vado al lavoro, l’abbronzatura che inizia a essere un po’ senza senso nel ritrovato tran tran quotidiano.

Al solito, la piccola iena che mi divora da dentro mi tende dei tranelli, nei quali cado con tutte le scarpe.

Sono stata tanto felice di sapermi in grado di camminare per ore e ore e ore senza nessuno che mi corresse dietro, nemmeno la mia ombra, e poi sono stata infelice, come era ovvio, per essere stata di nuovo indulgente verso le mie fantasie. Fantasticare non va bene per quelle come me, si finisce per credersi alte e con le gambe come quelle della Loren.

Torno indietro e sono carica di doni, piccole cose da custodire, messe da parte per me sola. Come l’immagine dell’angelo del Tiepolo che salva il muratore che cade dall’impalcatura, o quei dieci minuti che ho passato imbambolata davanti a una vetrina dietro cui era esposto nudo e crudo un pezzo della mia vita. (L’ho comprato e ora l’ho nascosto in un ripiano della cucina). Oppure le passeggiate vicino all’acqua, di notte, con quel tizio che suonava il violino, sempre la stessa aria malinconica, tanto effetto filmaccio a raccontarla così, eppure lì per lì tanto struggente.

Il lavoro è tanto, dappertutto, una buona parte è anche indietro, e ora dovrei essere lì a occuparmene.

Ma per un pochino mi godo ancora questo clima, l'odore della cartella e dei libri nuovi.

Quella piccola euforia, si sa, finisce presto.