Son giorni di cambiamento, il 2009 si avvicina al galoppo, nel magico mondo delle candele c'è già un albero di un metro e ottanta montato, con le lucine e gli addobbi nuovi, io ho superato lo scritto del master e quindi comincio fra poco, (diventerò sponsor ufficiale di trenitalia) l'amico di sempre ha trovato un lavoro all'estero in dieci giorni e se ne sta andando, l'amica a cui ho fatto visita ieri cominciava oggi il suo nuovo lavoro con contratto a tempo indeterminato, si sente profumo di cose che cambiano, oltre che di bagnato e di foglie secche.
E Roma, Roma è incantevole, mi resta sempre la voglia di starci a lungo, senza dover correre dietro agli orari per riprendere il treno e pensare, mentre stramazzo sul sedile, appena scaricate le borse, che bello sarebbe stato avere ancora una sera...
Se i miei piani funzionano il prossimo anno forse questo accadrà.
Per ora mi limito a pensare che vorrei essere un po' meno stanca e conoscere meglio certi autori, quindi leggo, leggo, leggo.
Riprendo volumi abbandonati da tempo e riscopro la bellezza di certe parole lasciate a metà.
E quando la solitudine mi aggredisce, e quando le domande sono difficili, mi siedo, accendo una sigaretta e penso che posso riuscire a far funzionare tutto, posso anche trovare il coraggio, se voglio, di rimettere a posto la mia camera, ridotta a un informe accumulo di vestiti appallottolati negli angoli, borse disfatte, sacchetti e carta da riciclare, basta non farsi prendere dal panico.
ritengo che per comprendere interamente una sola cosa, non importa quanto sia minuscola, occorra la comprensione di ogni altra cosa al mondo. Ecco perché a volte mi do per vinto di fronte alle cose più semplici; ecco perché non mi dispiace di passare una vita intera nel prepararmi a iniziare la mia indagine. (John Barth. L'opera galleggiante)
lunedì 17 novembre 2008
mercoledì 12 novembre 2008
sappiamo tutto, eppure non ne sapremo mai abbastanza
Da La Repubblica del 12 Novembre 2008
Diaz, l´ultima immagine dello scandalo
Il documento è paradossalmente eccezionale. Perché da un lato rappresenta il punto di non ritorno della vicenda: ecco come le forze dell´ordine hanno truccato le carte, barato, mentito fin dalla prima ora di quella notte dannata. È tutto vero: fu un pestaggio cinico e bestiale, e i servitori dello Stato preferirono raddoppiare l´orrore - aggiungendo alla carneficina l´ingiustizia della prigione - piuttosto che ammettere le proprie responsabilità, il fallimento. Ma d´altro canto, quella spaventosa bugia è così chiara, solare, che persino alcuni avvocati della difesa nella loro recente arringa la davano per scontata. Alla Diaz abbiamo imbrogliato, embé?
La catena è stata definitivamente ricostruita nel corso di quasi quattro anni di dibattimento e centocinquanta udienze.
L´agente Michele Burgio prende le due molotov - che erano state sequestrate nel pomeriggio durante gli scontri di corso Italia dal vice-questore Pasquale Guaglione, e da lui affidate a Valerio Donnini, padre degli specialissimi nuclei anti-sommossa e capo di Burgio - e nel cortile della scuola le consegna al vice-questore Pietro Troiani. Il funzionario le mostra al collega Massimiliano Di Bernardini. Poi entra in ballo Gilberto Caldarozzi, l´uomo che qualche anno dopo avrebbe partecipato alla cattura di Bernardo Provenzano. Qualche minuto più tardi, il sacchetto azzurro delle molotov è impugnato da Giovanni Luperi e mostrato agli altri super-poliziotti che gli si fanno intorno. E questa, di immagine, la conosciamo bene. Quello che succede dopo ce l´hanno raccontato gli stessi protagonisti in negativo del blitz. Luperi, attuale direttore dell´ex Sisde, ricorda di aver chiamato una funzionaria che stava all´esterno della scuola. Perché mai? Per affidarle il reperto, che pure in quel momento - visti gli sviluppi successivi - aveva una straordinaria importanza investigativa. Bene: Luperi chiama Daniela Mengoni e le dice di avere cura delle molotov. E la Mengoni che fa? A sua volta chiama un sottufficiale. «Credo fosse un ispettore della Digos di Napoli».
Credo, dice. Non ne conosce il nome, non è in grado di riconoscerlo. Nessuno degli ispettori Digos napoletani, rintracciati anni dopo dai magistrati, corrisponde a quello indicato dalla donna. E dunque, con lui e il sacchetto si avvicina all´entrata secondaria della scuola Diaz. Chissà perché. Si avvicina, e gli affida la prova «regina». Le molotov, che il nostro codice equipara ad armi da guerra. La prova intorno alla quale avrebbero poi giustificato l´intera operazione. «Tienile un momento, che devo fare una cosa». Lo molla lì. Quando torna, le bottiglie incendiarie saranno allineate sul lenzuolo che ospiterà il resto dell´"arsenale" sequestrato ai fantomatici Black Bloc della Diaz: i coltellini multiuso, le sottile anime in alluminio degli zaini fatte passare per spranghe, gli assorbenti femminili, la biografia del reverendo Jesse Jackson fatta passare per materiale "eversivo". E i picconi, le mazze rubate da un vicino cantiere.
Diaz, l´ultima immagine dello scandalo
ecco l´uomo che porta le molotov
In una ricostruzione della Bbc si vede un uomo che introduce nella scuola le bottiglie incendiarie
di Massimo Calandri
Eccola la fotografia-simbolo di quella notte maledetta . Inedita. Oscura. Inquietante. È stata estrapolata da un filmato girato da un operatore Rai e depositato dalle parti civili il mese scorso. Nel mosaico riportato qui a fianco, è il quadrato sulla destra in alto. Si riconoscono il cortile della scuola Diaz, le sagome dei funzionari di polizia che si allontanano dopo aver chiacchierato a lungo intorno al sacchetto azzurro con le due bottiglie incendiarie. Sullo sfondo le grandi finestre dell´istituto, le stanze illuminate. E a sinistra - piccolino, cerchiato di rosso - il profilo di un uomo sulla soglia dell´ingresso laterale. È di spalle, in borghese, indossa un casco protettivo. Nella mano sinistra stringe qualcosa. Sì. È il sacchetto azzurro delle molotov. Accanto riporta una didascalia in inglese, perché l´immagine fa parte di un´inchiesta giornalistica della Bbc di prossima pubblicazione: «Naples Digos Inspector entering Diaz Pertini». Si tratta cioè del fantomatico ispettore della Digos di Napoli che introduce materialmente nella scuola le molotov della vergogna, una della prove fasulle - la "regina" delle prove false - con cui la Polizia di Stato avrebbe voluto "giustificare" il massacro e le manette ai 93 no-global.Il documento è paradossalmente eccezionale. Perché da un lato rappresenta il punto di non ritorno della vicenda: ecco come le forze dell´ordine hanno truccato le carte, barato, mentito fin dalla prima ora di quella notte dannata. È tutto vero: fu un pestaggio cinico e bestiale, e i servitori dello Stato preferirono raddoppiare l´orrore - aggiungendo alla carneficina l´ingiustizia della prigione - piuttosto che ammettere le proprie responsabilità, il fallimento. Ma d´altro canto, quella spaventosa bugia è così chiara, solare, che persino alcuni avvocati della difesa nella loro recente arringa la davano per scontata. Alla Diaz abbiamo imbrogliato, embé?
La catena è stata definitivamente ricostruita nel corso di quasi quattro anni di dibattimento e centocinquanta udienze.
L´agente Michele Burgio prende le due molotov - che erano state sequestrate nel pomeriggio durante gli scontri di corso Italia dal vice-questore Pasquale Guaglione, e da lui affidate a Valerio Donnini, padre degli specialissimi nuclei anti-sommossa e capo di Burgio - e nel cortile della scuola le consegna al vice-questore Pietro Troiani. Il funzionario le mostra al collega Massimiliano Di Bernardini. Poi entra in ballo Gilberto Caldarozzi, l´uomo che qualche anno dopo avrebbe partecipato alla cattura di Bernardo Provenzano. Qualche minuto più tardi, il sacchetto azzurro delle molotov è impugnato da Giovanni Luperi e mostrato agli altri super-poliziotti che gli si fanno intorno. E questa, di immagine, la conosciamo bene. Quello che succede dopo ce l´hanno raccontato gli stessi protagonisti in negativo del blitz. Luperi, attuale direttore dell´ex Sisde, ricorda di aver chiamato una funzionaria che stava all´esterno della scuola. Perché mai? Per affidarle il reperto, che pure in quel momento - visti gli sviluppi successivi - aveva una straordinaria importanza investigativa. Bene: Luperi chiama Daniela Mengoni e le dice di avere cura delle molotov. E la Mengoni che fa? A sua volta chiama un sottufficiale. «Credo fosse un ispettore della Digos di Napoli».
Credo, dice. Non ne conosce il nome, non è in grado di riconoscerlo. Nessuno degli ispettori Digos napoletani, rintracciati anni dopo dai magistrati, corrisponde a quello indicato dalla donna. E dunque, con lui e il sacchetto si avvicina all´entrata secondaria della scuola Diaz. Chissà perché. Si avvicina, e gli affida la prova «regina». Le molotov, che il nostro codice equipara ad armi da guerra. La prova intorno alla quale avrebbero poi giustificato l´intera operazione. «Tienile un momento, che devo fare una cosa». Lo molla lì. Quando torna, le bottiglie incendiarie saranno allineate sul lenzuolo che ospiterà il resto dell´"arsenale" sequestrato ai fantomatici Black Bloc della Diaz: i coltellini multiuso, le sottile anime in alluminio degli zaini fatte passare per spranghe, gli assorbenti femminili, la biografia del reverendo Jesse Jackson fatta passare per materiale "eversivo". E i picconi, le mazze rubate da un vicino cantiere.
martedì 4 novembre 2008
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