martedì 20 novembre 2007

in viaggio

In una veglia quasi ipnotizzata prendo il treno delle otto e ventiquattro stamattina.

Fa freddo.

Di fronte a me un bambino nero, sui tre anni si racconta le novelle da solo mentre suo padre sonnecchia. Il dito indice della sua mano destra racconta al dito indice della sua sinistra i tre porcellini. Con tanto di coreografia. “il lupo allora bussò alla porta del primo porcellino...” (e vigoroso battere di pugni sul tavolino davanti)

Intanto gli occhi mi si chiudono e si aprono al ritmo usuale della campagna pietrificata e bianca, dei piccoli brividi dovuti all’aprirsi della porta automatica che fa passare l’aria fredda dentro il vagone, e dei pensieri vorticosi e poi lenti.

Penso al fine settimana che mi è rotolato addosso pieno di momenti bellissimi.

Un dopo cena degustazione di vini a casa dei miei amici, un dopo cena lungo lungo, di chiacchiere e chiacchiere e risate e risate, il viaggio in vespa per tornare a casa, un bagno caldo alle tre di notte, un letto fresco di bucato.

Penso al buio della notte di Siena e a quel freddo penetrante. Alle risate calde e alle persone belle che mi erano intorno. La notte al museo e la musica e quelle pareti bianche.

il lupo allora gonfiò le sue guance e soffiò e soffiò...” (seguono soffi veementi misti a sputacchi).

Una città misteriosa e familiare, un’amica in qualche modo molto vicina, una mano che mi cinge la spalla e una parola all’orecchio a intervallare una conversazione ad alta voce.

Capirsi con un’occhiata.

e la capanna di paglia cadde al primo soffio, e il porcellino molto spaventato corse e corse e corse...

La marmellata della mamma di M., una specie di madelaine della mia adolescenza, il latte, la sigaretta in pigiama sul balcone, mentre il freddo della ringhiera mi si ramifica su per i gomiti fino a raggiungere il collo.

Sul pullman delle due, stipato di turisti e pendolari, un uomo enorme piange consultando un dizionario, parla un po’ da solo, borbotta irrequieto. Il sole invernale scalda il vetro a cui sono appoggiata. Poi in treno, mentre varco gli appennini di nuovo, leggo e mi appoggio storta allo schienale. L’umanità in viaggio e tutte le domande che mi fa porre. Facce dopo facce, scarpe e borse, parole smorzate, libri, musica, riviste e parole crociate.

Bologna. Un libro nuovo, una trapunta rosa, una tazza di tè bollente. La cena e la tv, e ancora musica, altra dimensione e altro spirito. Ancora freddo. Qualche lacrima a condire la serata. Qualche lacrima e molti abbracci. Che salvano dal mondo che è fuori e per un po’ lo lasciano a contorcersi nelle sue pieghe.

e la capanna di legno cadde al secondo soffio, e i due porcellini sempre più terrorizzati corsero e corsero e corsero...

Quando sono arrivata a casa stamattina mi sentivo male dal sonno. Mi sono messa a fare qualcosa ma era impossibile mantenere la concentrazione. Ho tolto di mezzo le scarpe e mi sono buttata sul letto nella mia casetta di mattoni, faticosamente costruita in questi anni.

E ho dormito.

E sognato.

giovedì 8 novembre 2007

è natale...

il magico mondo delle candele, ore 16.

mercoledì 7 novembre 2007

nota a margine

Il problema è che nella lotta quotidiana fra senso di inadeguatezza e rafforzamento dell'autostima un punto a entrambe non fa un pareggio.
Vince sempre l'inadeguatezza, a meno che il punteggio non sia dieci a zero.

lunedì 5 novembre 2007

Novembre

Fa un caldo strano, un caldo da estate di San Martino, ci sono le finestre spalancate e i panni stesi e di contro tutte queste foglie gialle dappertutto (e viene subito in mente una di quelle poesie* che ti fanno imparare a memoria alle elementari che allora odiavo e mi faceva tristezza e che invece a ripetersela adesso suona piena di musica e silenzi).

Ho rifiutato la proposta di un lavoro che sarebbe stato molto remunerativo perché semplicemente le ore della settimana non bastavano, e questo mi rende molto inquieta.
Non so se era un’occasione, se lo sarà, ma quando le mie forze non sono sufficienti io mi sento un po’ sbagliata da qualche parte, difficile spiegarlo diversamente da così.

Le mie scelte sono sempre un po’ imperfette, io sono sempre un po’ inadeguata rispetto a quello che vorrei da me. Qualcuno direbbe che da me stessa pretendo quasi l’impossibile (qualcuno l’ha detto e io mi sono subito sentita in difetto di nuovo e lo scopo non era affatto quello) io dico sempre che faccio quello che devo, e poi quello che posso.

A queste riflessioni segue un pomeriggio passato a sfogliare le pagine di un vechio diario che mi è capitato per le mani mentre cercavo un’altra cosa e a chiedersi come diavolo sono venuta fuori da certi pantani mostruosi in cui mi ero cacciata. Certe cose sono molto lontane adesso, ma a rileggere provo lo stesso smarrimento di allora e il dolore, quello me lo ricordo, vivido come se fosse successo tutto ieri.

Quello che mi salva in questo periodo sono i progetti. Ne ho tanti, uno per ogni dito delle mie mani, mai avuti tanti progetti e desideri tutti insieme. Forse è per questo che nonostante tutto sento una vena di ottimismo pulsare piano piano ma costante, in mezzo alle scartoffie e alla fatica.

*Gemmea l'aria, il sole così chiaro
che tu ricerchi gli albicocchi in fiore,
e del prunalbo l'odorino amaro
senti nel cuore

Ma secco è il pruno, e le stecchite piante
di nere trame segnano il sereno,
e vuoto il cielo, e cavo al piè sonante
sembra il terreno.

Silenzio, intorno: solo, alle ventate,
odi lontano, da giardini ed orti,
di foglie un cader fragile. È l'estate,
fredda, dei morti.

Giovanni Pascoli, Novembre.

sabato 3 novembre 2007

generazioni

Di là a tavola ci sono i miei coi loro amici a cena che si scannano dibattendo sulla scuola.
A un tratto mi ricordo perché dopo un po' qua dentro mi manca l'aria.
Questa è una famiglia in cui si grida si picchiano i pugni sul tavolo e ci si accalora.
Questa è una famiglia di sinistra in cui certe cose sono vitali e una di queste cose è discutere, confrontarsi e poi bere l'amaro e mangiare il dolcetto.

Questa è una famiglia passionale, nel bene e nel male.

Io sono zitta, zitta, gridare mi stanca, dirimere le questioni mi sembra sempre più difficile, ci sono cose semplici che mi sembrano più vere.
Secondo me siamo proprio due generazioni politiche.
Una, la loro, fatta di gente che si mette in fila per votare alle primarie del partito democratico.
-Perché?- Chiedi.
-Perché da qualche parte bisogna pur ricominciare.-
Una, la mia, di disillusi che credono che l'unica parte da cui ricominciare sia lavorare al meglio delle proprie possibilità qualunque lavoro si faccia, e attendere pazientemente che quello che hai votato tappandoti il naso abbia un senso.

E che si ritappa il naso alle elezioni dopo.