martedì 26 giugno 2007

notti

Così, come una specie di carezza, cadono delle gocce di pioggia sulla città riarsa.

Voci festose di radio commerciali all’ora di pranzo, una gran fame e pochissime cose in frigo, polvere sugli scaffali. E’ estate. Distrattamente ho pensato all’ultima estate che ho passato lentamente. Mi sembra molto lontana. Non che sia impossibile ricordarsi di quell’odore di pini e terra bruciata, se mi concentro vedo anche qualche colore che balugina. Ma il mio corpo non ha altrettanta memoria. Cede, semplicemente cede, mi molla quando ho più bisogno di lui. E cado dalla vespa ammaccandomi e graffiando la laccatura rossa, poi passo il resto della giornata a dirmi come sono stupida e a camminare con la molla del freno davanti storta e lo specchietto piegato.

E poi faccio due lavatrici, mi metto a studiare e nel frattempo mi vergogno perché i miei mi hanno di nuovo regalato dei soldi a mia insaputa, e vorrei essere così forte da restituirglieli in qualche modo, ma invece la prossima settimana c’è l’affitto e quei due soldi in più non stonano per niente in questo via vai di bancomat e carte di credito.

A momenti mi sento invasa dalle cose, penso che dovrei semplicemente accogliere questo caos senza combatterlo, invece di digrignare i denti e spezzarmeli (e non pensare che non mi sia accorta che mi massaggiavi le guance di notte per farmi smettere: ho aperto un occhio e ti ho visto lì con le mani sulla mia faccia e mi sono sentita totalmente al sicuro, come non mi succede quasi mai). Dovrei lasciare spazio al caos e lasciare che si estingua come il calore dell’asfalto che evapora sotto questa pioggerellina fine.

lunedì 18 giugno 2007

chapliniana

.. me lo ricordo ormai anziano, forse proprio poco prima di morire, diedero una festa in suo onore e lui si presentò ormai un po' incerto nei movimenti e commosso. La gente era accorsa e si era stipata per vederlo e lui non poteva muovere un passo che tutti esplodevano in un applauso. Così, per riconoscenza nei confronti di quel pubblico adorante e di ogni età, fece il gesto di roteare il bastoncino e alzare la bombetta. E io mi sono commosso, allora come adesso che te lo racconto.

E due lacrimoni da bambino di tre anni gli rigano le guance immediatamente, al vecchio prof, e se non sto attenta gli corro dietro a chi tira più forte su col naso.

martedì 12 giugno 2007

sabato 9 giugno 2007

sabato al lavoro

Sabato, tutti al mare.

La pioggia dell’altro giorno ha fatto cadere un albero nella mia via, ma oggi si è rasserenato. Fa caldo.
Mi arrivano voci lontane della manifestazione (dovrei dire le manifestazioni) di Roma.

Leggo.

Stamattina per portarmi avanti ho rimesso a posto tutto il negozio, perché lo sapevo che questo pomeriggio sarebbe stato così pacifico e silenzioso e segretamente lo volevo per me.
Adesso leggo, prendo appunti, penso. Penso molto.
Mangiucchio sfogliatelle al cioccolato regalatemi dal vecio. Il solito cuore tenero.
A volte sospiro. Ah, che sospiri. Così potenti che si trasformano in sbadigli e lacrime di sonno.
Il gelsomino qui di fronte è fiorito, profuma moltissimo.

Mi sono placata dalla furia omicida che mi ha divorato il fegato ieri sera e che si è rovesciata come uno scroscio sul mio povero malcapitato amico.
Sono ancora convinta del punto di vista che ho sostenuto, ma forse potevo essere un po’ meno veemente nelle argomentazioni.

Che pace, eppure che caos.



update:"che bello che bello non c'è nessuno e posso leggere..."
E fu così che entrarono 400 clienti in un'ora.


giovedì 7 giugno 2007

però basta

piove così forte che non vedo fuori dalla vetrina del negozio.
così forte e con così tanto vento che la pioggia cade in orizzontale.
Mai visto niente di simile.
per lo meno non avrò clienti.
tempo per leggere.

e amletica malinconia eroica.

lunedì 4 giugno 2007

1984

Ti ricordi il mare quando eravamo piccoli?

Io mi ricordo giornate lunghissime. Mi ricordo che mi svegliavo presto e così com’ero, in mutandine e canottiera, correvo nello spiazzo davanti alla casa con le pareti fucsia, mentre i miei dormivano. Era una casa che odorava di calce, circondata dagli ulivi, in cui ho passato la maggior parte delle vacanze che ho fatto fino a sedici anni. Ma le ultime volte che ci siamo andati era già stata ridipinta e intonacata. Invece quell’anno era ancora un po’ scrostata e fucsia, in alcuni punti più chiaro e in altri quasi viola. Io portavo i capelli cortissimi, quasi a zero, canottiere a righe e calzoncini di spugna. La mia mamma portava, a quell’epoca, un vestito di cotone bianco con le bretelline sottili. Si fermava i capelli con una fascia elastica e ogni tanto mi si appostava alle spalle per darmi i baci sul collo mentre giocavo. Quei baci mi sembravano fastidiosissimi, mi interrompevano i giochi e i pensieri. A pensarci adesso mi commuove la sola idea.

Mi ricordo queste mattine lunghe mentre aspettavo che si svegliassero i miei, stavo sola e giocavo in quello spiazzo ombroso, raccoglievo sassi, coloravo sul retro di un pacco di fogli riciclati e disegnavo coi gessetti sul pavimento. Poi i miei si svegliavano e andavamo in spiaggia, armati di due o tre borse di paglia piene di secchielli, formine, giornalini e biglie.

In spiaggia c’erano gli altri bambini. Una spiaggia lunga, un mare profondo e di un blu quasi nero, ciottoli e sabbia, la grotta sullo sfondo.
Se chiudo gli occhi quel blu lo vedo adesso, e sento anche l’odore.

Quell’estate ho imparato ad amare il mare. Quel momento della sera quando tutti se ne vanno dalla spiaggia e noi invece restiamo finché non è proprio sceso del tutto il sole. Lo spazio da dare ai pensieri, ai pensieri sciolti, e quelle sere in cui il vero evento mondano è rappresentato dall’andare a mangiare la pizza e i calamari fritti nel paese vicino.

Succede che mi mancano giorni di quiete e mi manca un po' di mare da vivere in quel modo totale dei bambini. Dormire, mangiare bene, leggere e fare il bagno alle otto del mattino.

Guardare l’orizzonte con l’emozione di poter perdere tempo.

Mi serve tempo per riflettere e prendere delle decisioni e invece il tempo mi viene sottratto da moltissime cose che non mi interessano. Ma le decisioni vanno prese perché sennò è il tempo stesso a decidere per te e ti ritrovi senza bussola e senza cose che ti appartengano veramente.
Io voglio che il mio tempo mi appartenga.